Antico e nuovo fumetto underground americano



Se da una parte troviamo un primo movimento del fumetto indipendente, che si rifugiava nella comfort zone dell'autobiografia intimista, e nel racconto sulle contraddizioni di una società sempre più alienata (es: Paul Hornschemeier, Chester Brown, Dylan Horrocks e i fratelli Hernandez con Love & Rockets), dall'altra vi coesistono gli autori dell'ultima ondata che tramite raccapriccio e splatter edificano narrazioni per nulla confortanti. Di questi ultimi verranno prese in considerazione alcune opere - tra Stati Uniti e Canada - che hanno segnato l'immaginario di lettori e addetti ai lavori.
Ed è proprio grazie al loro contributo se negli anni sono nati autori come Ratigher, Charles Forsman, Manu Larcenet e Jesse Jacobs. Come non citare tra gli ultimi l'italianissima Vittoria Moretta che, attirata dalle storie di Popeye e di Daniel Clowes, riesce a farsi largo tra le promesse del fumetto in Italia.


Il mio amico Art Spiegelman diceva: 'sappiamo chi è Will Eisner, lo dobbiamo superare.'
Perciò penso che l'underground sia qualcuno di diciassette, diciotto, diciannove anni che non ha mai sentito parlare di me.


Charles Burns
Roma, 19 marzo 2015



Keith sta praticando un'incisione nel ventre di una rana durante l'ora di biologia, a lavorare con lui c'è Chris Rhodes. Da sempre prova forti sentimenti per la compagna di liceo.
Come applica il taglio sull'anfibio, Keith comincia a intravederne le calde interiora.
Dalla fessura, o meglio, “dal buco nero” del titolo si fa strada una parata degli orrori composta da malformazioni, presagi sinistri e un piede umano solcato da una fessura simile a quella applicata sull'animale.
Lo stesso solco che attraversava l'America degli anni '70, piegata dalle prime trasmissioni del virus avvenute nelle località settentrionali.

Rabbrividii.
Non riesco a spiegare cosa successe. Era come un Dejà vu o qualcosa del genere... una premonizione. Mi sembrava di vedere il futuro... e il futuro era proprio incasinato.

Nelle pagine di Charles Burns aleggia proprio il fantasma del virus dell'Hiv (o Aids), come sarebbe stato chiamato soltanto nel 1986 da un comitato internazionale, dopo che fu a lungo oggetto di un contendere e riportato nel frattempo nei numerosi dossier scientifici di tutto il mondo.
Un contesto che fa da motore immobile alla storia, al centro il disagio adolescenziale e le insicurezze degli americani davanti a un nemico sconosciuto che non lascia scampo.
La connotazione temporale viene suggerita attraverso indizi musicali (vinili di Bowie e Zappa) e pettinature lunghe – come molte folte basette tipiche - che solitamente si portavano all'epoca.



La prossima a entrare nella spirale granguignolesca è Chris, in preda a delle visioni che descrivono – anche qui egregiamente – la paura di una nazione attraverso il disfacimento fisico. Qua torna la fessura, o buco nero che tanto ha spaventato Keith nell'incipit. Così come si torna a parlare di presagi che più avanti si manifesteranno; prima anticipati da alcune visioni distorte nelle varie ellissi temporali che trovano una soluzione chiara nelle ultime pagine. Chris si imbatterà ben presto in Rob, da qui molte delle visioni prenderanno forma e nella via più totalizzante e deviata.

Fa qui l'ingresso in scena quello che può essere considerato il vero motore degli eventi di tutta quanta la storia dopo Rob: la provocante Eliza, dalla quale Keith troverà non solo riparo, ma anche un corpo che lo saprà scaldare nelle (ormai) temute attività sessuali. In una di queste scopre che la ragazza ha un “segno particolare” sul suo corpo, una coda. Da qui in avanti verrà apostrofata dagli amici come E-Lizard (nomen omen).
I nostri cammineranno in mezzo a freak, corpi marcescenti e orrori a vario titolo.
Realtà e finzione sono indistinguibili perché situazioni tangibili e sempre pronte a seminare disagio nella cittadina in cui vivono, quasi simile alla boschiva Twin Peaks di Lynch; ma senza troppi elementi soprannaturali. Nei fitti boschi americani non mancheranno profili umbratili, che in penombra osserveranno i movimenti dei giovani innamorati.

L'ossessione di rivedersi con il corpo martoriato dalle deformità è dietro l'angolo.
Il sentimento dell'amore compare nelle scene di sesso e negli scambi di battute tra partner, con l'unica speranza che tutto torni alla normalità prima o poi.
Una parabola body horror a là Cronenberg che racconta gli umori, i timori e gli amori che i giovani protagonisti provano durante la tragedia dell'Hiv. La descrizione di un inferno in terra che si fa efficace per mezzo dei dialoghi realistici (ma anche abbastanza semplici) e dei personaggi che appaiono tridimensionali; solcati - di nuovo - dall'inchiostro che Burns pratica con il forte contrasto dei bianchi e dei neri.
Il finale è aperto a molteplici interpretazioni: la prima, che emette una flebile luce di speranza; l'altra riflette il pericolo costante e la perdita di una persona conosciuta e amata.
Charles Burns, grazie a quest'opera portata avanti per dieci anni, costruisce un mito di fondazione per una generazione di lettori, e per tutti quegli artisti che muovono i primi passi nel circuito underground del fumetto.
Black hole (Coconino press, trad. E. Fattoretto) è cult gore che gode di una fama leggendaria tra gli appassionati, pari forse con la trasposizione cinematografica – del romanzo di Irvine Welsh – di Trainspotting di Danny Boyle.



"Dubito che Colville sarebbe esistito se mi fossi trovato da qualche parte che non fosse la mia cittadina. Non ho mai vissuto in una grande città. Credo che tutto il mio lavoro sia legato in qualche modo al posto dove vivo."

Steven Gilbert



Come in Black Hole, e nel titolo analizzato più avanti, Colville ha come set una zona dell'America del Nord: teatro di tensioni sociali e di conflitti personali irrisolti.
Gilbert attinge a piene mani da un evento di cronaca accaduto anni prima nella città in cui vive (Newmarket, ndr).

La storia editoriale di questo libro a fumetti è già di per sé intrigante quanto il suo plot.
Nel 1997 veniva data alle stampe una prima versione di Colville (Coconino press, trad. S. Sacchitella) di appena novanta pagine.
In poco tempo diventò introvabile, un vero oggetto di culto che pochi fortunati potevano vantare di possedere. A tesserne le lodi ci pensò Frank Santoro (autore di Pompei) sulle pagine della rivista Crickets per la rubrica Good Cartoonist Gone; inaugurata dal fondatore della rivista Sammy Harkham; lo stesso uomo dietro alle preziose produzioni Kramers Ergot e la raccolta di racconti Golem stories.
Dieci anni dopo arriva la versione da cento pagine in più, che oggi possiamo stringere tra le mani grazie al forte volere di Ratigher. Il fumettista italiano, ora al timone della casa editrice fondata da Igort nel 2000, aveva incensato il libro di Gilbert in un esaustivo intervento in tempi non sospetti su Just indie comics.

Colville conta di 2351 anime. Ci troviamo nell'Ontario meridionale, precisamente in Canada.
Una presentazione che si dimostra già degna della (già citata) cittadina di Twin Peaks.
David, con l'aiuto del suo amico Van, ha intenzione di rubare una macchina.
Nella cupa cittadina c'è spazio anche per l'ermetico Alan Gold, dietro alle cui spalle ha un passato turbolento da capo dei motociclisti Satan's Angels. E infine Tracy, nonché la ragazza del protagonista.
Il giovane David è in procinto di compiere il furto ai danni del primo malcapitato che gli capiti sotto tiro, ma il ragazzo sogna sin da piccolo di diventare un famoso fumettista con la sua autoproduzione sperimentale; proposta per adesso al commesso della fumetteria di fiducia.
Nel tentativo di rubare il veicolo, David si ritroverà a essere preda a sua volta; as aspettarlo ci pensa un personaggio che mischierà tutte le carte in tavola del racconto.
Un regolamento di conti torbido e malato, che culminerà con un imprevisto evento tragico nell'atto finale.
Nella città di Colville non vi hanno accesso elementi esterni che possano alterare il magma oscuro su cui sono posate le pietre della città, come è improbabile che vi filtri uno spiraglio di luce. Per non parlare della giustizia, la prima grande assente di questa storia, la stessa che latita in Non è un paese per vecchi: romanzo (e dopo mangniloquente trasposizione cinematografica) di Cormac McCarthy; che cede il terreno all'irruenza degli aridi personaggi. Ma qui non vale la regola metanarrativa che impera nell'altresì cruento Tony & Susan di Austin Wright; ai più conosciuto e apprezzato nell'adattamento cinematografico di Tom Ford con Animali notturni.

La copertina del libro a fumetti ha come immagine una scena saliente del libro (scelta del tutto inusuale). L'azione è oggetto di un magnifico meccanismo che ne reitera la sequenza da più punti di vista (flashforward compresi). Il tratto di Gilbert si fa sempre più sghembo e fitto nelle scene di climax, adattandosi perfettamente alla pelle narrativa. Qui si manifesta tutta la grande abilità di storyteller dell'orrore: un raccapriccio che affiora e demolisce tutte le speranze di una cittadina che si sperava fosse tranquilla e lontana dal dramma.






"Credo che l'horror funzioni bene sia nei film che nei fumetti. Il cinema è il mezzo più facile per fare horror. Non è difficile fare paura con un'immagine improvvisa e spaventosa e della musica forte. Ma le storie horror migliori dovrebbero fare molto di più, qualsiasi sia il medium."


Josh Simmons




Il filone narrativo, che vede mondi colpiti da una pandemia sconosciuta, è stato attraversato da numerosi videogiochi e libri; tra questi ne è il capostipite il capolavoro di Cormac McCarthy (sempre presente) La strada. Ma Black River di Josh Simmons non ha nulla a che vedere con il commovente romanzo con protagonisti un padre e un figlio che vagabondano senza sosta verso la terra promessa. Dall'altra parte il fenomeno televisivo The Walking Dead è di forte ispirazione per i fumettisti e programmatori di videogiochi della generazione alla quale appartiene Josh Simmons.

Da qualche parte nel nordamerica: Seka guida un gruppo composto da sette donne più un uomo, che vagano da giorni circondati dalle macerie di una civiltà distrutta. Nessuno è riuscito a trovare una risposta alla causa che ha portato l'essere umano a uno stato di barbarie.
I superstiti comandati da Seka trovano conforto tra un atto sessuale e con un po' di cameratismo tutto al femminile, per qualcuno suonerà strano, ma è l'unico vincolo che tiene salda e viva la compagine.
Più avanti scopriranno che l'ultimo avamposto della civiltà si trova a qualche chilometro di distanza: in loco però si scontreranno con una nuova realtà che è riuscita a scampare dalla minaccia ignota che ha quasi azzerato l'umanità.

Niente di più semplice, un plot lineare e già visto in diverse salse.
Simmons non ricorre a chissà quali invenzioni narrative per raccontare la storia di Seka e compagni, ma il punto di forza sta nella sua cruda semplicità, che a sua volta risiede nel tratto scarno e sintentico. L'autore è abile a costruire una storia dalle sfumature più slasher (che altro) condita da un humor corrisivo: ne fa da esempio lampante la scena che si svolge in un cabaret dove uno strambo signore declama il suo monologo.
Black river (001 edizioni, trad. Valerio Stivè) è debitrice al filone di cui sopra essendo fortemente derivativa, ma Simmons brilla per economia della storia che la eleva a piccolo cult del fumetto underground.





Riferimenti bibliografici:

- Colville, un diamante di ruggine
Just Indie Comics (Gabriele Di Fazio), 18 novembre 2015
https://justindiecomics.com/2015/11/18/colville-un-diamante-di-ruggine-by-ratigher-2/



- Intervista a Josh Simmons






Simone Tribuzio (Terracina, 1991) lavora dal 2015 come ufficio stampa per case editrici di fumetti.

Scrive per
Esquire Italia, minimaetmoralia, Rivista Studio, Altri animali, Ondarock.
E ha scritto per le riviste
Il Mucchio Selvaggio e Finzioni Magazine.
Dal 2020 è coordinatore della Classifica di Qualità Fumetto per L'indiscreto.

Post popolari in questo blog

La magia che infesta il Pozzo, intervista a Matteo Grilli

Tarek l'outsider

C'era una volta Pinocchio di Winshluss: in conversazione con Stefano Antonucci (w/ Comicon Edizioni)